EDITORIALE

05.07.2022

Un inedito mondo del lavoro

Di Daniela Di Ciaccio

“Sono le scelte che faccio”

Mi sono imbattuta in questo video qualche settimana fa, mentre ero in navigazione con mio marito dall’isola di San Pietro verso Cagliari e ho pensato che sintetizzasse bene sia la condizione attuale di tanti lavoratori, sia le scelte che personalmente ho fatto rispetto al modo di intendere il lavoro.

La prima volta che ho visto il video era un qualunque giovedì mattina della settimana, avevo appena terminato il mio periodo estivo di detox e rigenerazione energetica e come ogni lavoratrice e lavoratore di rientro dalle ferie era appena ricominciata la “normale” routine lavorativa, fatta di telefonate e riunioni, pianificazione delle attività dei giorni, delle settimane e dei mesi successivi, organizzazione di trasferte per la partecipazione ad eventi, risposte alle mail… Di lì a qualche settimana, per 8 sabati sarebbero iniziate anche le classi di formazione della certificazione in Chief Happiness Officer e gli appuntamenti live tutti i mercoledì alle 18. Il risucchiamento nel vortice del super lavoro che prosciuga tempo alla vita, allo svago e al riposo – penserebbero in molti – era potenzialmente all’orizzonte.

In verità il modo in cui oggi vivo e lavoro è tutt’altro che “normale”.

Nel 2020, infatti, dopo oltre 15 anni di lavoro in ufficio e in presenza continuativa, ho scelto di cambiare vita e, insieme a mio marito, oggi viviamo per 6 mesi l’anno in barca a vela, girando per il Mediterraneo.

Non ho smesso di lavorare, ma ho abbandonato il modello di lavoro al quale avevo aderito così a lungo, più o meno consapevolmente, per “integrare”, in modo più aderente ai miei valori e al mio proposito, la mia vita e il lavoro.

Il Covid 19 per noi è stato una grandissima benedizione: in quel periodo abbiamo ragionato molto sul significato che volevamo dare alla nostra vita, sulle opportunità celate dietro alle sfide che la nuova situazione poteva offrire – prima tra tutte la tecnologia – e su come potevamo concretamente riorganizzare la nostra vita familiare, ma anche le nostre professionalità individuali, per seguire le nostre vocazioni legate al fare esperienze, attraverso il viaggio e gli incontri umani, per aumentare la nostra consapevolezza e godere pienamente della bellezza della vita.

Nessuno di noi due è ricco di famiglia e vive di rendite, entrambi avevamo lavori inseriti in contesti aziendali con impatto su altre persone (non siamo artisti, scrittori, artigiani, liberi professionisti…). Personalmente avevo già fatto nel 2012 il mio primo “scollocamento”: mollare un lavoro a tempo indeterminato e ben pagato senza avere alternative per essere più aderente al nuovo significato della vita che mi si stava manifestando. Da quella scelta ebbe origine 2BHappy, la culture company che ho co-fondato insieme a Veruscka Gennari.

Sia io che mio marito condividevamo una visione del mondo in cui ciò che conta non è ciò che hai, cosa o quanto fai ma ciò che sei, un approccio che ci ha consentito nel tempo di non sprecare risorse in cose che per noi erano futili e di avere un approccio al consumo e al denaro intelligente e consapevole.

La possibilità di remotizzare il lavoro sfruttando la tecnologia e il digitale è stata senza dubbio la condizione che mi ha consentito di poter continuare a lavorare da qualsiasi posto nel mondo, perché non era più necessaria la mia presenza fisica in un ufficio.

Il mio ufficio e la mia casa, oggi e per 6 mesi l’anno, è un piccolo guscio di legno galleggiante e in movimento lungo il nostro bel Mediterraneo.

Ma non è solo il poter disporre di una buona connessione wifi e un computer ad alte prestazioni che rende il mio nuovo modo di lavorare altrettanto efficace, produttivo, coinvolgente e relazionalmente significativo rispetto a prima.

Il percorso di consapevolezza personale su proposito, bisogni, valori e scelte di vita più aderenti alla propria natura è stato fatto anche dalle altre persone del team con cui collaboro.

Ciascuno di noi ha riflettuto (e continuiamo ad avere momenti “istituzionali”, virtuali o quando possibile in presenza), sulle proprie competenze, i punti di forza, i risultati che vogliamo raggiungere, l’impatto che vogliamo avere come azienda e come persone e ci organizziamo – utilizzando gli strumenti collaborativi a disposizione e l’empatia che abbiamo coltivato – in modo che tutti questi aspetti possano stare insieme.

Con la differenza che tra le variabili da prendere in considerazione su quando fissare riunioni, definire scadenze o consegnare progetti per me entra in gioco oggi anche la meteo e i tempi di navigazione 😉

Credo fortemente che dobbiamo essere per primi noi stessi, come persone e come organizzazioni, il cambiamento culturale che cerchiamo di facilitare nel mondo e, dunque, diventare laboratori di nuovi modelli del lavoro, capaci di generare la felicità delle persone e la sostenibilità dei business.

È un percorso sfidante, che necessita continuità di ascolto, dialogo e una grande flessibilità mentale ma che personalmente, rispetto al mio proposito, mi offre la grande opportunità di non rimanere intrappolata in alcuni modelli mentali pensando che siano gli unici, la verità, inconfutabili.

Più viaggio e condivido la mia storia, più incontro un’umanità altra dal modello del lavoro in ufficio o in fabbrica con cui mi confrontavo prima e, in un mondo che cambia alla velocità della luce e ci costringe a convivere con l’incertezza, avere la possibilità di osservare e sperimentare altre forme di vita e lavoro è un dono pazzesco e un’incredibile fonte di creatività per immaginare e anche sviluppare nuove idee, nuovi stimoli e nuovi servizi per il futuro.

Faccio solo due esempi tra i tanti: in questi ultimi due anni ho incontrato ragazze e giovani che hanno scelto di rimanere nei loro piccoli paesini o sulle isole per dedicarsi a progetti culturali, sociali, artistici e che stanno re-interpretando il concetto stesso di lavoro, non più considerato come priorità, sacrificio totale, fonte esclusiva di definizione della propria identità.. ma come una tra le tante possibili modalità di impiegare il “tempo” di vita, fatto anche di amicizia, famiglia, affettività, riposo, svago…

Ho incrociato le rotte di intere famiglie che si sono trasferite a vivere in barca con i propri figli, reinventando le loro occupazioni per dare a questi bambini l’opportunità di conoscere il mondo nella sua ricca diversità e quindi poter scegliere domani di essere davvero ciò che si vuole. Anche in questo caso è il valore del tempo che diventa centrale: dall’essere impiegato per un terzo della nostra vita attiva al lavoro (8 ore di lavoro, 8 per dormire, 8 da dividere per tutto il resto..), all’essere dedicato consapevolmente a ciò che conta per l’essere e l’essere una famiglia: come, ad esempio, l’home schooling e l’auto-apprendimento ma anche il gioco insieme, la scoperta dei luoghi dove ci si ferma, fare nuove esperienze attraverso le persone del posto (cucina locale, sport in natura, artigianato…) o semplice condivisione di momenti di ozio tra genitori e figlie per costruire legami solidi e memorie indelebili.

È chiaro che vivere in barca a vela ha la sua aura di fascino legata al concetto di libertà, ma il vero punto non è mollare tutto e liberarsi dalle catene del lavoro, vivere di soli sogni, diventare tutti liberi professionisti, artisti o insegnanti di yoga.

Mi piacerebbe invece che la condivisione di questa mia esperienza personale possa aprire un piccolo varco nel cuore di chi legge, per far entrare quel raggio di luce che consente di vedere un sentiero possibile per tutti, fatto di domande, curiosità e strumenti (che oggi non mancano) per ripensare al proprio rapporto con il lavoro, conoscere davvero se stessi in profondità e, in aderenza a questa consapevolezza, scegliere come valorizzare il tempo della propria unica e preziosa vita.

Ti saluto con una citazione di Russell del 1936 che aveva già intuito la necessità di ripensare al lavoro.

Daniela

Come molti uomini della mia generazione, fui allevato secondo i precetti del proverbio che dice “l’ozio è il padre di tutti i vizi”. Poiché ero un ragazzino assai virtuoso, credevo a tutto ciò che mi dicevano e fu così che la mia coscienza prese l’abitudine di costringermi a lavorare sodo fino ad oggi. Ma sebbene la mia coscienza abbia controllato le mie azioni, le mie opinioni subirono un processo rivoluzionario. Io penso che in questo mondo si lavori troppo, e che mali incalcolabili siano derivati dalla convinzione che il lavoro sia cosa santa e virtuosa; insomma nei moderni paesi industriali bisogna predicare in modo ben diverso da come si è predicato sinora. B Russell, Elogio dell’ozio, 1936