EDITORIALE

15.04.2024

La storia la fa chi la racconta: anche quella economica!

Di Sophie Her

Chi in azienda occupa funzioni manageriali o apicali dovrebbe possedere una solida cultura economica al di là delle inclinazioni gestionali, organizzative e finanziarie necessarie alla conduzione di un’attività.

Badiamo all’etimologia delle parole! “Economia” viene dal greco oikos (casa) e nomos (legge), che significa la capacità di gestire la famiglia, la casa.

Oggi, l’economia non regola più piccoli spazi privati, ma spazi privati sempre più grandi anche di dimensione globale che piano piano sostituiscono le nostre istanze governative lasciando la porta aperta alla privatizzazione di beni comuni quali l’acqua o di servizi pubblici quali quello sanitario.

E come unico valore all’interno di questo sistema? Il denaro.

L’economia è solo denaro. L’economia è tutto. Ormai l’economia è vita.

Come mai il sistema si è incardinato sul profitto per l’arricchimento di pochi e non sull’accessibilità dei servizi a tutti? Quale valore è attribuito a chi si prende cura dei rapporti sociali anziché generare profitto? Dove fluisce la vita in questo tipo di cultura?

 

Foto di Anne Nygård sur Unsplash

Sono passati più di 30 anni da quando ho studiato economia in Francia. La mia determinazione a cercare futuri preferibili per una società più equa e più pacifica mi ha poi portata a studiare i rapporti di forza che col tempo si sono dimostrati ancora più cristallizzati a livello geopolitico, economico e sociale. Inutile elencare le guerre, l’impoverimento e l’iper controllo che portano alla vulnerabilità le singole persone e l’intero sistema.

Una prima risposta l’ho trovata in Italia, anni dopo: la forza imprenditoriale, il lavoro delle cooperative sociali, l’attenzione all’economia locale. Pensavo che costituissero una forma di resilienza. Si sono rivelate essere invece molto di più: una vera e propria cultura economica.

  • Ma allora, disse Alice: “Se il mondo non ha assolutamente alcun senso, chi ci impedisce di inventarne uno?”
  • E no cara mia, io le risponderei. Basta rileggere la storia!

RICORDARE IL PASSATO…

Puoi immaginare lo choc di quanto la scoperta di Copernico abbia cambiato la visione del mondo nel sedicesimo secolo? Da allora sono cambiati l’immaginario collettivo, i valori e le tecnologie. Non per niente si parla di “rivoluzione”…

Lo stesso vale nell’ambito economico, col passaggio dal Rinascimento alla Rivoluzione Industriale: nuovi immaginari, nuovi valori, nuove tecnologie. E con essi, una certa idea della politica, della politica economica e del pensiero economico. Così, nel diciassettesimo secolo, quando Thomas Hobbes ha portato nella sfera economica il concetto di Platone del “Homo homini lupus”. Poi, appena un secolo dopo, quando Adam Smith ha confermato il potere del libero mercato iscrivendo nel marmo principi quali la proprietà privata, la liberta di iniziativa individuale, l’accumulazione dei capitali e il reinvestimento dei profitti. E così, in fin dei conti, anche quando John Stuart Mill ha ridotto l’Homo erectus nato 1,5 milioni di anni fa alla definizione di Homo oeconomicus, costringendolo ad un’unica vocazione economica.

Pensa un po’ quanto questo modello culturale ha influenzato il modo di pensare l’economia e di far impresa!

…PER COSTRUIRE IL FUTURO

Oggi, chiamiamo “megatrend” queste evoluzioni globali a lungo termine. Esse costituiscono potenti forze di cambiamento sociale, demografico, ambientale e tecnologico che esercitano un’influenza sulla politica, sulla società e su tutti i rami dell’economia.

Foto di Mikhail Nilov-Pexels

E cosa ci dice la futurologia sull’economia di domani?

Parla di sostenibilità, ovvero della salvaguardia dell’ambiente e delle risorse naturali mondiali, nel solco dell’agenda 2030 con i suoi 17 obiettivi di sviluppo sostenibile di portata universale che definiscono un “nuovo modello di società”, per evitare il collasso dell’ecosistema terrestre. È un pensiero innovativo oppure politica curativa di un sistema malato, che si è dimenticato del principio di causa effetto?

Parla della lotta contro il riscaldamento. Sarà la prima volta che il nostro pianeta è esposto a simili cambiamenti climatici?

Parla anche di sviluppo tecnologico con l’avvio dell’intelligenza artificiale che sposta la centralità del pensiero umano, di un ritorno ad una produzione locale (reshoring), di monete sovrane digitali, di finanza liquida in una “ageing society” che compone la “silver economy”…

Seguire questi megatrends è un modo di proteggersi della volatilità del mondo, un po’ come ancora 40/50 anni fa i paesi e le grandi aziende approvavano i piani industriali: sono strumenti e settori che cambieranno l’economia. Ma per cambiare la storia è necessario cambiare cultura!

UNA STORIA MENO CINICA DELL’ECONOMIA

L’indirizzo da seguire è già scritto in natura, poiché – come sostenne Gaudi: “l’originalità consiste nel tornare alle origini”.

Ripassando la cultura economica nella storia si possono trovare risposte anche antecedenti ai premi Nobel dell’inizio del nostro secolo, come Daniel Kahneman che nel 2002 ha messo in discussione la razionalità fondamentale del pensiero alla base delle teorie economiche neoclassiche, grazie al suo lavoro sulla psicologia della conoscenza e del processo decisionale, oppure come Elinor Ostrom prima donna premiata nel 2009 “per aver dimostrato come i beni comuni possano essere gestiti efficacemente da associazioni di utenti”.

Antonio Genovesi

Tornare alle origini del pensiero economico significa per me tornare al momento del bivio della storia, quando il rapporto di forza tra due visioni del mondo si è concluso con un pensiero “eco-unico”, quello anglosassone. Era già tempo di soft power al servizio del mainstream…

Alla stessa epoca, Antonio Genovesi scriveva “Delle lezioni di commercio o sia di economia civile” all’origine dell’economia del Bene Comune: «Homo homini natura amicus». Era il 1765!

Ricordiamoci che il mecenatismo nasce 2000 anni fa con l’imperatore romano Ottaviano Augusto, che la parola “sostenibilità” è già presente nel vocabolario quando le cooperative sociali nascono nel 1844 e che Olivetti all’alba del ventesimo secolo, con il suo modello imprenditoriale che unisce profitto e responsabilità sociale e il suo concetto di comunità ha inventato il primo computer!

L’Economia Civile è anche una storia diversa dell’economia, una storia che ha radici italiane antiche, nel presente. E queste radici danno ancora vita ai nostri distretti, alle imprese familiari, alle cooperative, a tutto ciò che ha a che fare con un modo diverso e anche, se vogliamo, latino meridiano di fare economia.” racconta il grande economista italiano Stefano Zamagni che ci ha aiutati a riscoprire i testi di Genovesi.

E là che la storia avrebbe potuto cambiare. Ed io sono convinta che proprio là stiamo ritornando, come nel film “Ritorno al futuro”. Tanti passi sono già stati fatti perché le aziende abbraccino il bene comune come scopo delle loro azioni.

Alla fine, oggi sono le aziende che hanno in mano le redini della trasformazione sociale che stiamo vivendo: una trasformazione epocale e vitale!

 

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