ARTICOLO
01.12.2019
Perché un consulente HR, e non solo HR, dovrebbe integrare il proprio know how diventando CHO?
Di Cristina Andreoletti
01.12.2019
Perché un consulente HR, e non solo HR, dovrebbe integrare il proprio know how diventando CHO?
Di Cristina Andreoletti
E’ una domanda che ha una molteplicità di risposte, per cui, ripartiamo dall’inizio.
Secondo il dizionario Oxford, il consulente è un professionista con un certo livello di expertise e di competenza, chiamato per fornire consigli e pareri esperti ad uno specifico gruppo di persone.
E’ nel DNA del consulente, dunque, non solo la capacità di ascolto e lettura del contesto e dei bisogni che esprime in un dato momento il cliente, quanto soprattutto l’attitudine a scrutare l’orizzonte per intercettare nuovi scenari, salire sulle spalle dei giganti – quindi aggiornarsi costantemente rispetto a tutto ciò che di nuovo, solido ed efficace emerge dal mondo della Scienza e della Ricerca applicata – per discernere e distillare la soluzione più efficace e in grado di sposare la richiesta o l’esigenza espressa dal cliente in maniera univoca ed originale.
Ecco perché in un momento storico e di mercato sfidante come questo, il ruolo del consulente, in particolare nel campo dell’HR management e dello sviluppo organizzativo, diventa cruciale e ha bisogno di allargare i propri contorni di competenza e visione attraverso le informazioni e gli strumenti offerti dalla Scienza della Felicità e delle Organizzazioni Positive.
Sappiamo, ad esempio, che la depressione sarà la seconda causa di malattia invalidante a partire dal 2020, dopo le malattie cardiovascolari (dati OMS).
Non solo: secondo un’indagine inglese, un dipendente infelice costa circa 16.000 sterline l’anno e solo il 13% dei lavoratori si sente nella condizione di rivelare al proprio capo problemi di depressione.
Un consulente con competenze in CHO conosce questi dati e sa che l’impatto sulla forza lavoro di questo trend sarà dirompente, per la maggiore difficoltà a motivare e far sentire ingaggiate queste persone – solo per citare l’effetto più immediato – e che il servizio migliore e più efficace, anche in termini di sostenibilità finanziaria, che può offrire ai propri clienti HR, sarà la possibilità di allargare la loro visione del problema e affrontare la problematica dell’engagement in un’ottica integrata, che supera l’introduzione di pratiche o politiche di welfare specifiche per andare ad integrare altre dimensioni della vita organizzativa capaci di creare il contesto e le condizioni più favorevoli affinché le politiche siano efficaci. Nel caso specifico, ad esempio, fondamentale è il lavoro sulla cultura della fiducia, sulla qualità della relazione, in particolare della leadership, affinché le persone “sentano” e sperimentino la coerenza delle azioni di cura che l’organizzazione adotta nei comportamenti quotidianamente agiti dai capi verso i collaboratori.
Facciamo un altro esempio, sfruttando un tema molto diffuso e sentito: un cliente ci domanda di accompagnarlo ad introdurre lo smart working in azienda.
Dall’indagine di clima fatta recentemente è emerso, infatti, come l’introduzione del lavoro agile sia un bisogno particolarmente sentito in azienda ed inoltre i colleghi del recruiting lamentano di sentirsi fare con sempre maggior frequenza domande sul lavoro flessibile da parte dei candidati per valutare le proposte. I risultati a cui ambisce l’azienda sono, ovviamente, quelli pubblicati dall’Osservatorio del Politecnico di Milano: Smart Worker più̀ soddisfatti dell’organizzazione del lavoro rispetto alla media degli altri lavoratori: 39%, contro il 18% e del rapporto con i colleghi: 40% contro il 23%.
Inoltre, incremento della produttività del 15% per lavoratore e riduzione del 20% del tasso di assenteismo. Il cliente si aspetta quindi di implementare una nuova modalità di lavoro attraverso la quale poter soddisfare i diversi stakeholders: maggior benessere, engagement, motivazione per i lavoratori, miglioramento della produttività, riduzione dell’assenteismo e, nel tempo, dei costi per gli spazi fisici per l’azienda e gli azionisti, diminuzione dell’inquinamento per l’Ambiente.
Un consulente HR con competenze in Chief Happiness Officer sa che non è possibile raccogliere questi frutti attraverso un approccio consulenziale tradizionale e pensare, cioè, di lavorare all’interno di un modello organizzativo “convenzionale” basato su controllo e gerarchia, prevedibilità, informazioni nelle mani di pochi e comportamenti automatici.
Come facciamo a far convivere dichiarazioni quali “all’interno della nostra organizzazione la fiducia nei lavoratori è l’ultimo dei problemi” con dibattiti sulla necessità o preferibilità di escludere, addirittura nelle edizioni pilota – situazione propizia per sperimentare ed eventualmente sbagliare per ritararsi – le giornate di venerdì e lunedì?
E noi consulenti, come possiamo incidere sulla cultura organizzativa e fare evolvere il sistema di valori e credenze su cui poggia la maggior parte dei leader, riducendo la paura e lo stress che si genera a fronte di trasformazioni e cambiamenti?
Anche noi consulenti 4.0 abbiamo bisogno di aggiornarci e di arricchirci di nuovi saperi. Come?
Diventando CHO si ha la grande opportunità di accedere, in un lasso temporale gestibile, ad un distillato di know-how decisamente autorevole e certificato su quello che oggi le scienze – dalla chimica all’epigenetica, dalla fisica alla biologia alle neuroscienze – mettono a disposizione per dare nuove visioni, modelli e vantaggi competitivi ai nostri clienti.
“Stupidità significa fare e rifare la stessa cosa aspettandosi risultati diversi”
Albert Einstein
World Mental Health Day: How leaders can prioritize well-being in the workplace
Di World Economic Forum