ARTICOLO
02.02.2025
Notes for happy families #8 | The Climb
Di Martino Corti

02.02.2025
Notes for happy families #8 | The Climb
Di Martino Corti
“Mio padre ogni sera a cena mi chiedeva in cosa avessi fallito quel giorno. Non solo era felice quando avevo qualcosa da raccontargli, ma era anche orgoglioso. Vedeva nei fallimenti un segno di coraggio, di intraprendenza, di volontà di mettersi in gioco. Al contrario, si preoccupava quando non avevo nulla da raccontare sui miei fallimenti, perché questo significava che non avevo osato, non avevo rischiato, non avevo provato a superare i miei limiti”
Questa signore e signori è Sara Blakely, fondatrice di Spanx, una delle imprenditrici di maggior successo a livello mondiale.
Non avendo avuto paura di rischiare, di provare nuove strade anche quando sembrava impossibile, ha costruito un impero, partendo da un’idea semplice e rivoluzionaria: creare una guaina contenitiva che valorizzasse le forme del corpo femminile.
“Mio padre mi ha insegnato che il fallimento non è un evento, ma un’opinione. E io ho scelto di non avere un’opinione negativa sui miei fallimenti”
(Sara Blekely)
Tutto molto bello e, come sentiamo da quando siamo minuscoli: “Sbagliando si impara”. Ok, ma quanto siamo davvero pronti ad accettare l’errore, nostro e altrui?
In Italia, la “cultura dell’errore” è un tema complesso, radicato in tradizioni che spesso ci portano a vedere lo sbaglio come qualcosa da evitare o nascondere. Fin dai primi anni di vita, la famiglia gioca un ruolo fondamentale nel plasmare il nostro rapporto con l’errore. Genitori e nonni, animati dalle migliori intenzioni, spesso trasmettono l’idea che sbagliare sia qualcosa di negativo, da evitare a tutti i costi. “Non correre che cadi!”, “Stai attento a non sporcarti!”, “Non fare pasticci!”. Quante volte abbiamo sentito queste frasi?
“Non ho fallito. Ho semplicemente trovato 10.000 modi che non funzionano”
(Thomas Edison)
Ma non è proprio attraverso gli errori che i bambini imparano a conoscere il mondo, a superare i propri limiti, a sviluppare resilienza e autostima? Cadere per poi rialzarsi, sporcarsi per poi imparare a lavarsi, pasticciare per poi creare: sono tutti passi fondamentali nel percorso di crescita.
Spesso per comodità, velocità, impazienza o proprio per non vedere i propri figli sbagliare, molti genitori tendono a fare le cose al posto loro. Non nascondo che anche Cami ed io ci stiamo aiutando a vicenda nel farci notare quando ci comportiamo in modo incoerente rispetto alla teoria (che condividiamo al 100%!). Ci è successo più volte di aiutare Mirtilla quando ancora stava provando (e magari sarebbe riuscita!!); quando era più piccola ci è successo di fare qualcosa al posto suo per la fretta o per evitare di dover eventualmente ripulire un “disastro” di latte e cereali.
Il punto è che così facendo miniamo l’autostima dei nostri bambini.. “Se lo fanno loro al posto mio evidentemente è perché io non sono capace”. Ed è un attimo che si inneschi un circolo vizioso in cui ci chiedono aiuto prima ancora di provarci 😉
“Un bambino ha bisogno di fare esperienza del mondo, di esplorare, di cadere, di rialzarsi. Se noi genitori lo proteggiamo troppo, gli impediamo di sviluppare le proprie capacità e la fiducia in se stesso”
(“I bambini sono competenti”, Jesper Juul)
Essere consapevoli di questi meccanismi può servirci per aiutarci a vicenda, come stiamo facendo Cami ed io ormai da tempo. E, come è un attimo cadere in circoli viziosi, è anche un attimo invertire la rotta. Provateci, rimarrete stupiti da quanto siano indipendenti i vostri figli!
La scuola tradizionale, purtroppo, spesso non fa che rafforzare la visione negativa dell’errore. Compiti in classe, interrogazioni, giudizi: tutto sembra ruotare attorno alla performance, alla perfezione. Spesso sbagliare significa prendere un brutto voto, essere umiliati o etichettati come “incapaci”.
“E chi me lo fa fare di alzare la mano e buttarmi? Sto zitto che è meglio!”
“Il successo non è l’assenza di fallimento, ma la capacità di rialzarsi dopo ogni caduta”
(Vince Lombardi)
E come potrebbe essere diverso poi nel mondo del lavoro? Porca miseria, ci arriviamo con una pesante zavorra di ansia da prestazione e paura di sbagliare! Un ambiente di lavoro dove l’errore è visto come una colpa, qualcosa da nascondere o evitare a tutti i costi, ha un impatto profondamente negativo sulla cultura aziendale, sul benessere dei collaboratori e sul business.
La paura di sbagliare genera stress, ansia e demotivazione. Sentirsi costantemente sotto esame, con la spada di Damocle dell’errore incombente, mina la fiducia in sé stessi e nelle proprie capacità.
“La paura è un killer della mente. Ti divora dall’interno, ti rende debole”
(Muhammad Alì)
Questa paura porta a una chiusura difensiva, dove le persone evitano di prendere iniziative, di proporre nuove idee, di sperimentare. Si limitano a fare il “compitino”, a seguire le istruzioni alla lettera, per evitare di sbagliare e incorrere in sanzioni o giudizi negativi.
“L’innovazione non è un processo lineare, ma un percorso accidentato, fatto di errori e fallimenti”
(Clayton M. Christensen)
Un ambiente dove l’errore è un tabù è un ambiente sterile per l’innovazione e la creatività. Le persone, per paura di sbagliare, non si sentono libere di esprimere il proprio potenziale, di proporre idee originali, di sperimentare nuove soluzioni. L’innovazione, per sua natura, richiede non solo la capacità, ma anche la possibilità di mettersi in gioco, di osare, di provare nuove strade, anche a costo di sbagliare. Un’azienda che non tollera l’errore si condanna a rimanere ancorata al passato, a perdere opportunità di crescita e sviluppo.
Persone che si sentono valorizzate, supportate e incoraggiate a sperimentare sono più produttive, creative e coinvolte, anche nel loro lavoro. Un’azienda che promuove una “cultura dell’errore” positiva, dove l’errore è visto come un’opportunità di apprendimento, è un’azienda che investe nel benessere dei propri collaboratori (di conseguenza nel business) e nel proprio futuro.
“Il successo non è la chiave della felicità. La felicità è la chiave del successo. Se ami ciò che fai, avrai successo”
(Albert Schweitzer)
La bella notizia è che le cose stanno cambiando, anche in questo senso. Insomma dai, l’errore non è più visto come una colpa, ma come un’opportunità per imparare, crescere e migliorare. Certo, come me e Cami siamo ancora in tanti ad essere convinti sulla teoria e a dover sbagliare per migliorare (per l’appunto!!) 😂
Ma siamo sempre più persone, genitori e professionisti, a metterci in gioco e farci il mazzo per evolvere. Ognuno di noi può fare la sua parte per promuovere una “cultura dell’errore” più sana e positiva.
“Fuckup Nights” è un esempio lampante di chi ha deciso di fare qualcosa per invertire la rotta. E’ una community globale nata proprio per superare il tabù del fallimento, per imparare a vederlo come strumento di crescita. In 260 città, 62 Paesi e attraverso più di 15.000 storie di fallimento, sono eventi, workshop, contenuti coinvolgenti e divertenti. Qui in Italia le fanno a Legnano… Ci vediamo lì per una birra?
Ben vengano queste figate pazzesche, ma per fare qualcosa di concreto non bisogna per forza coinvolgere tutto il mondo!
Come genitori, possiamo insegnare ai nostri figli (non a parole ma con i fatti 😉) che sbagliare fa parte della vita e che l’importante è imparare dai propri errori.
Come scuole o singoli insegnanti, possiamo creare un ambiente dove gli studenti si sentano liberi di esprimere le proprie idee e di sperimentare, senza paura di essere giudicati.
Come datori di lavoro, possiamo promuovere un ambiente di lavoro dove l’errore è visto come un’opportunità per crescere e migliorare.
Come collaboratori possiamo essere esempi coerenti per promuovere il cambiamento, o cercare un’azienda più “evoluta”, una fra le tante organizzazioni positive.
Come per tutto, ognuno di noi può decidere di prendersi la responsabilità di cambiare le cose. Per farlo possiamo basarci sulla formula magica che sta alla base di ogni evoluzione: “X+1”.
“Non ho paura di fallire. Ho paura di non provare”
(Sara Blakely)
Multipotentialite, Artista, Happiness Coach, Intermediario di Evoluzioni, certificato Chief Happiness Officer della IX edizione, Martino Corti ha deciso di applicare strumenti, consapevolezze e pilastri della scienza della felicità nell’organizzazione per lui più importante del mondo: la famiglia!