ARTICOLO
15.03.2017
La felicità è qui e ora
Di Daniela Di Ciaccio
Alla base dello sviluppo della capacità di Essere Felici c’è l’Arte di Vivere nel Presente. Cosa c’entra la felicità con la capacità di vivere il presente? Innanzitutto dobbiamo fare un po’ di chiarezza sui termini, iniziare a definire cosa intendiamo per felicità e lo faremo in 3 passi.
La felicità è legata al “piacere”, alla possibilità cioè di assaporare e gustare la vita nelle sue molteplici forme (le relazioni, il sesso, l’arte, il cibo, le vacanze, la natura..) e di soddisfare i nostri desideri (una bella casa, le cose, il lavoro, le esperienze..). Ma questo non basta. Se la felicità fosse solo legata al piacere e al soddisfacimento dei desideri sarebbe effimera, dipendente dalle circostanze esterne, dalle cose ma più di tutto insostenibile e alla lunga frustrante.
Il nostro cervello tende, infatti, a generare desideri illimitati e una volta ottenuto qualcosa si abitua, la prende per scontata e sposta più in alto il desiderio. Vogliamo sempre di più: nuove cose, emozioni sempre più forti. Ecco che la ricerca di questo tipo di felicità diventa un processo infinito, tendenzialmente mai raggiungibile in maniera definitiva, generatore di ansia e frenesia che può addirittura sfociare nella frustrazione e sofferenza, quando non siamo in grado di avere tutto ciò che desideriamo.
In questo processo la felicità è sempre nel futuro e in un altrove fuori dal nostro controllo.
Dalla TRECCANI: “Felicità = stato d’animo di chi è sereno, non turbato da dolori o preoccupazioni e gode di questo suo stato”. La felicità è chiaramente anche un’emozione, ma se fosse solo tale ci apparirebbe momentanea. L’emozione è infatti qualcosa che ci agita, ci scuote – dal latino emovère (ex = fuori + movere = muovere), letteralmente portare fuori, smuovere, in senso più lato, scuotere, agitare. Dunque l’emozione è uno scuotimento, un’agitazione dell’animo e la felicità nello specifico è simile alla gioia, all’entusiasmo, alla contentezza, di cui conosciamo molto bene gli effetti benefici a livello fisiologico.
Peraltro sappiamo che talvolta sotto l’effetto di emozioni ad alta intensità, pur se piacevoli, prendiamo decisioni più rischiose, spesso non efficaci perché non lucide, ponderate (sulla scia dell’entusiasmo appunto..). L’aspetto importante da sottolineare è principalmente il fatto che la vita non è solo contentezza e dunque questa definizione che fa riferimento allo stato d’animo “non turbato da dolore e preoccupazione”, tende a rimuovere la sofferenza dalla vita, a considerare le emozioni spiacevoli come a qualcosa di «negativo», da evitare, reprimere, soffocare.
La felicità intesa solo come emozione è irrealistica e forse è a questo tipo di felicità che pensano le persone che alla domanda “sei felice”? o all’affermazione “è possibile essere felici in questa vita” rispondono con dei sorrisetti amari o ironici.
Non possiamo pensare di escludere la sofferenza e il dolore dalla nostra vita, non sarebbe la vita. Proviamo emozioni spiacevoli, facciamo esperienze dolorose per allenarci ad essere più forti, per crescere ed evolvere.
Quante volte siamo caduti dalla bici da bambini, sbucciandoci le ginocchia o rompendoci qualche arto per imparare a camminare, ad andare senza rotelle? Alcuni pensano che basterebbe eliminare qualsiasi motivo di sofferenza dalla vita per essere felici. In realtà, la felicità autentica sta nella capacità di accogliere tanto la gioia quanto la sofferenza, che possono anche coesistere! Un maratoneta che giunge al traguardo tra i primi, sarà al tempo stesso sia esausto e dolorante, che orgoglioso del suo piazzamento; la madre che la sera rimbocca le coperte al figlio che le sorride, sente pesare le fatiche e le difficoltà della giornata, ma sente ugualmente il cuore colmo d’amore e soddisfazione.
Infine, una vita davvero felice si realizza quando scopriamo il valore dentro noi stessi, ci prendiamo cura di noi, valorizziamo i nostri pregi e utilizziamo i nostri talenti. Nel lavoro, nelle relazioni, nel tempo libero. Se ci adoperiamo, cioè, per rendere la nostra vita quotidiana allineata a ciò che siamo veramente. Eppure, anche in questo caso corriamo dei rischi. Se la felicità fosse solo “tutta intorno a noi”, finiremmo per diventare egoisti, accentratori di attenzioni, pretenziosi e indifferenti. Vittime o carnefici in una visione competitiva dell’uomo e della società che ha prodotto gli squilibri maggiori che vediamo nel Mondo (l’inquinamento, la sovrappopolazione, le disuguaglianze, le guerre..) e che la scienza sta ribaltando, attraverso importanti scoperte sulla natura mite e sociale dell’uomo.
“La felicità è vera solo se condivisa”, diceva Christopher McCandless nel film “Into the Wilde”, a sottolineare appunto il fatto che non possiamo prescindere dal riconoscere i principi di interconnessione, altruismo insiti nella natura stessa dell’uomo. Per come la intendiamo noi
la felicità è un processo di continuo adattamento e confronto con il cambiamento! E’ cioè la capacità di affrontare tutte le sfumature della vita,mantenendo un allineamento tra ciò che siamo e ciò che è importante per noi.
Perché non riusciamo ad affrontare le sfide e le sfighe che a volte rendono la nostra vita un vero e proprio tormento? La risposta sta nella parola “cambiamento” e nei pensieri e nelle emozioni che questa parola evoca in noi, spesso inconsapevolmente. La verità è che
molti di noi provano emozioni spiacevoli nel cambiamento, tendono a respingerlo, rifiutarlo.
Vorremmo avere sempre tutto sotto controllo, tendiamo naturalmente alla stabilità, perché siamo spaventati inconsciamente dalla fine di qualunque cosa. Abbiamo paura di qualunque cosa.
Siamo pigri e quindi mentalmente ci spaventa il dover ricominciare tutto daccapo, l’incertezza ci mette fuori dalla zona di comfort perché richiede un livello di attenzione maggiore.
Noi non soffriamo perché cambiamo o sappiamo di dover morire, ma perché pur sapendo che tutto cambia, che tutto è impermanente ci rifiutiamo di accogliere questa verità, resistiamo, preferiamo illuderci che tutto duri per sempre. Thich Nhat Hanh
Da dove deriva questa resistenza ostinata? Dal fatto che siamo disabituati a vedere il cambiamento intorno a noi, in ogni istante, in ogni momento. Ci consideriamo infiniti e sprechiamo tempo..
E qui entra in gioco la protagonista del nostro film “La mente mente”
Sapete qual è il più sofisticato trucchetto che mette in scena la nostra mente per allontanarci dalla felicità? La distrazione e il “vagabondaggio” di pensieri ed emozioni in un tempo psicologico che è sempre diverso dal presente. Vi siete mai fatti la domanda: dove sono i miei pensieri, proprio ora? Anche adesso, mentre state leggendo, dove siete?
Nel film di animazione Kung Fu Panda il maestro Oogway (la tartaruga) afferma:
“Ti preoccupi troppo di ciò che era e di ciò che sarà; ieri è storia, domani è un mistero ma oggi è un dono. Per questo si chiama presente.”
Viviamo gran parte della nostra vita in una dimensione temporale non reale ma psicologica: rimuginando su ciò che è stato, su quelli che eravamo, sulle cose che avevamo o preoccupandoci per ciò che saremo, come faremo quando, cosa accadrà se non otterremo quello che desideriamo.
Siamo sopraffatti dalla frustrazione o dall’ansia. Passato, ricordi e ferite oppure futuro, con aspettative e preoccupazioni.
Praticamente il 95% della nostra giornata trascorre inconsapevole, sotto il dominio di una mente che processa milioni di pensieri ed emozioni “irreali”, perché collocati in un passato che non tornerà più e non si può cambiare, e in un futuro che non è ancora arrivato ma non ha senso anticipare “mentalmente”, perché l’unica chance che abbiamo per influenzarlo è agendo nel presente.
Il presente, il “qui e ora” è l’unica dimensione temporale realmente percepibile e nella quale sarebbe bene essere “collocati”. L’unica dimensione in cui abita il corpo nella sua dimensione biologica.
La maggior parte dei disagi emotivi nasce proprio da qui, così come la maggior parte dei disagi che si trasforma in patologie più serie come l’ansia e la depressione, estremi diversi che scaturiscono dalla medesima causa.
Riuscire a collocarsi nel presente del proprio vivere, interrompendo la centrifuga dei pensieri frastornanti in cui siamo immersi continuamente è una via molto utile per cercare di porre un limite alle condizioni di disagio e sperimentare uno stato di felicità autentica. Felicità che risiede nella consapevolezza della presenza, dell’essere pienamente, con tutta la propria attenzione e partecipazione, in ogni momento e in ogni situazione, senza diventare schiavi o dipendenti da cose, persone, stati d’animo, ricordi. Semplicemente fluire armonicamente nello scorrere della vita.
In tutte le tradizioni spirituali, le modalità con cui si riusciva a sviluppare questa padronanza di sé attraverso il controllo delle “perturbazioni” della mente, venivano individuate nelle esperienze dei “ritiri spirituali”. Pensate, ad esempio, a Gesù nel deserto 40 giorni prima della resurrezione o alle sette settimane di raccoglimento prima che il Buddha raggiungesse l’illuminazione.
Cosa accade in queste situazioni? Isolamento, silenzio, digiuno, immobilità o lentezzafavoriscono la capacità di osservarsi e imparare a dominarsi, distruggendo mostri interiori e condizionamenti che imprigionano la nostra vera essenza in una gabbia di illusioni, spesso create dalla società esterna. Non è necessario rinchiudersi e abbandonare la società, per allenarsi alla consapevolezza, anche se alcune di queste pratiche possono essere sperimentate in piccole dosi e inserite in un programma di allenamento graduale.
C’è un semplice modo per iniziare a realizzare lo “stare nel presente” e si può fare partendo dal coinvolgimento del corpo, ossia attraverso la “consapevolezza” dell’esistenza del corpo e delle sue funzioni nel momento in cui avvengono, ovvero nel presente. E’ una tecnica facile da apprendere e agevole da applicare, alla base di molte pratiche di meditazione, intesa solo come “consapevolezza di ciò che avviene, nel momento in cui avviene”.
Tra quelle più semplici c’è la meditazione centrata sulla “consapevolezza del respiro”. Un primo passo per rompere la gabbia dello sguardo rivolto all’indietro o troppo in avanti ed iniziare a coltivare l’arte della felicità.
Quella che vi proponiamo è una pratica veloce e pronta all’uso, che può essere ripetuta anche più volte nella giornata in condizione di benessere, come allenamento da utilizzare in momenti di disagio o di disturbo più potenti. La durata iniziale può essere molto breve: da alcuni respiri a pochi minuti, per essere poi aumentata via via che si diventa più esperti.
Provate e che la vita possa manifestarsi in tutta la sua meravigliosa pienezza!
Siediti in posizione comoda con la schiena diritta. Chiudi gli occhi. Porta la tua attenzione su tutto il tuo corpo, iniziando dalla punta dei piedi e lentamente via via risalendo su per le gambe, i polpacci, le ginocchia, le cosce. Passa in rassegna lo stato dei tuoi muscoli e se sono tesi cerca di rilassarli. Risali attraverso le anche, la pancia, il petto, le spalle, le braccia, i gomiti, le mani. Lascia andare le tensioni sul collo, rilassa i muscoli del volto, la testa. Ora sposta la tua attenzione verso la punta del naso ed inizia ad osservare il tuo respiro. Rimani a bocca chiusa e concentrati sulle narici provando a sentire l’aria fresca che entra durante l’inspirazione e l’aria più calda che esce quando espiri (preferibilmente con il naso). Rimani tranquillo in osservazione di questo flusso d’aria che entra e che esce, senza forzarlo, senza giudizio, solo osservazione. Se può aiutarti visualizzalo come un’onda del mare che arriva sul bagnasciuga mentre inspiri e ritorna indietro al mare mentre espiri. Limitati a qualche respirazione completa, ad occhi chiusi, rilassato e non giudicante. Se e quando sarai riuscito ad essere assolutamente consapevole del tuo respiro, quindi del momento presente, avrai iniziato ad interrompere il girovagare della mente tra passato e futuro. E se puoi farlo ora, per pochi minuti, potrai farlo in seguito per un tempo via via maggiore, sperimentando la sensazione della calma che dona il vivere nel qui e ora!