ARTICOLO

02.02.2025

Felicità in azienda per prevenire il Quiet Quitting

Di Silvia Pici

Avrete tutti sentito parlare del “Blue Monday”, il terzo lunedì di gennaio è considerato il giorno più triste dell’anno poiché si associa al termine delle festività, al rientro al lavoro, al fallimento dei buoni propositi e alla sensazione di vivere in una situazione di stallo la propria vita. Ad oggi si vive il Blue Monday ogni lunedì di ogni nuova settimana poiché viene vissuto come triste e malinconico il giorno in cui, a seguito di uno spensierato weekend, bisogna tornare a lavoro. Questa percezione comune è un chiaro segnale di quanto il lavoro influenzi negativamente il nostro stato d’animo e la nostra vita.

Il ”Quiet Quitting” è un fenomeno emergente che da qualche anno ha iniziato a manifestarsi tra i lavoratori di tutto il mondo. Jim T. Harper (2023) definisce il QQ come una situazione in cui i lavoratori sono mentalmente ed emotivamente disimpegnati nei confronti del lavoro, però invece di licenziarsi, come accade con la Great Resignation, rimangono nella loro posizione ma sono mentalmente ed emotivamente assenti. Secondo Formica e Sfodera (2022) il termine si riferisce all’impegno limitato dei dipendenti nello svolgere i compiti assegnati e nell’astenersi da qualsiasi altra attività non specificata nella loro descrizione del lavoro. Implica anche un basso investimento nelle attività lavorative. I “quiet quitters”, quindi, sono disimpegnati sul lavoro e non intendono fare più del dovuto.

Dal report Gallup  “State of the Global Workplace 2023” emerge che ben il 59% degli impiegati del mondo sono “quiet quitters”.

Sono sopratutto i giovani della generazione Z a vivere questo fenomeno. Secondo degli studi effettuati dal gruppo Adecco, i lavoratori della Generazione Z sono: istruiti, attenti a tematiche come l’inclusione, la diversità e la responsabilità sociale, decisi a trovare un equilibrio tra vita professionale e vita privata, hanno una mentalità imprenditoriale e non tollerano gli ambienti troppo autoritari, apprezzano molto le interazioni faccia a faccia, sono molto pratici, si aspettano feedback, riconoscimenti, comunicazioni chiare e trasparenti e apprezzano lavorare in team eterogenei.

Arrivare in ritardo a lavoro e andarsene prima, non offrirsi volontari in ruoli di leadership, rimanere in silenzio durante le riunioni, non rispondere alle email, i messaggi o le chiamate, isolarsi sul posto di lavoro, evitare gli eventi sociali e prendersi più ferie del solito sono solo alcuni degli atteggiamenti che sono stati osservati da Hetler e Robinson (2022).

Per quanto riguarda le conseguenze che ricadono sull’organizzazione, Pevec (2023) sostiene che tra queste troviamo la riduzione della produttività, l’aumento del turnover degli impiegati e una debole qualità del lavoro. Questo può essere spiegato sulla base del principio per cui, se i lavoratori sono felici del proprio lavoro, saranno più propensi a dare il massimo per raggiungere gli obiettivi dell’azienda. Ai quitters accade il contrario, non essendo soddisfatti e coinvolti non hanno interesse e/o piacere nel dare il meglio di loro stessi per l’organizzazione.

Con il contributo di Jim Harper e Zenger e Folkman possiamo riassumere le cause che generano il QQ in 10 elementi:

  1. Un controllo centralizzato da parte del management che comporta una bassa autonomia del lavoratore
  2. La mancanza di un meccanismo di feedback che apporta un sentimento di frustrazione e indisponibilità
  3. Un inadeguato sistema di riconoscimento e retribuzione facendo sentire i lavoratori sottovalutati e non ripagati dei loro sforzi
  4. La mancanza di opportunità di carriera, crescita e aggiornamento
  5. Il deterioramento del confine tra vita privata e lavoro comportando gravi danni al benessere fisico e mentale
  6. La mancata trasparenza e fiducia da parte dell’organizzazione
  7. Un luogo di lavoro caratterizzato da alti livelli di stress dovuti alla promozione della competizione
  8. L’assenza di politiche per l’inclusione e la diversità
  9. Una debole comunicazione che comporta incomprensioni, confusione e frustrazione, facendo provare ai lavoratori la sensazione di essere sottovalutati e sconnessi dall’azienda.
  10. La mancanza di connessione con lo scopo aziendale.

Come possiamo affrontare e ridurre questo fenomeno? La risposta è avere un Chief Happiness Officer nella propria organizzazione!

Un CHO all’interno di un’azienda si occupa di rispettare e tradurre in processi e politiche aziendali i principi della scienza della felicità che sono 4:

  1. Più chimica positiva, meno chimica negativa: questo concetto si basa sul rispetto di 3 bisogni dell’uomo: sicurezza, soddisfazione e relazione. A questi bisogni corrispondono dei fattori organizzativi che vanno soddisfatti che sono i fattori igienici per il bisogno di sicurezza come la retribuzione, fattori di sviluppo professionale per il bisogno di soddisfazione quali la possibilità di formazione e crescita e fattori sociali per il bisogno di relazione come il clima di lavoro e l’identità di gruppo. Ogni volta che i bisogni sono rispettati, il nostro organismo mette in circolo la chimica della positività, mentre se non sono soddisfatti vengono rilasciati nell’organismo una serie di ormoni come il cortisolo, l’adrenalina e la norepinefrina che possono causare danni alla salute. Quando invece i bisogni vengono rispettati allora vengono messe in circolo sostanze come la dopamina, la serotonina e le endorfine che generano nel lungo periodo benessere, piacere, creatività, realizzazione e apertura.
  2. Più noi, meno io: gli esseri umani sono animali sociali, è stata la capacità di fare gruppo e cooperare che ci ha permesso di sopravvivere ed evolvere. La cooperazione è lo strumento migliore per raggiungere il bene comune producendo il massimo benessere per tutti. Il noi si esercita praticando l’ascolto, il supporto, la comunicazione non violenta, la condivisione di informazioni e la trasparenza.
  3. Più essere, meno fare e avere: ognuno di noi dovrebbe focalizzarsi sui propri valori e propositi di vita, coltivare le passioni e ascoltare le proprie emozioni. Solo cosi possiamo riuscire ad esprimere il nostro massimo potenziale, coltivando l’essere, e lasciando che il fare e l’avere non determino la nostra felicità ma che siano dei mezzi di espressione della stessa. Nelle organizzazioni questo principio di manifesta stabilendo un purpose aziendale che vada oltre il profitto e che si basi su valori e obiettivi di vita condivisi dai lavoratori. In questo modo le persone si sentono parte di un qualcosa di grande che li motiva e li spinge ad agire in autonomia, a partecipare e andare oltre al compito per cui sono pagate.
  4. Più disciplina, meno caos: le org+ credono nell’efficacia della routine. Per poter allenare la competenza della felicità è necessario stabilire una serie di nuove abitudini quotidiane che permettono di concretizzare questi principi.

Adesso, se ripensiamo alle cause che generano il QQ elencate sopra, possiamo notare come l’applicazione dei principi le previene tutte, infatti:

Un CHO all’interno di un’organizzazione garantisce che ci sia un sistema di riconoscimento e retribuzione adeguato che faccia sentire le persone apprezzate, che non ci sia competizione ma cooperazione, rispetto e fiducia, crea un ambiente dove è promossa la cultura dell’errore per cui le persone si sentono libere di esprimersi e sperimentare, ridefinisce le politiche e i processi aziendali sulla base di principi come il benessere, l’inclusione e la diversità, il rispetto dell’unicità del singolo, la salute del dipendente, fa rispettare il confine tra lavoro e vita privata arrivando a ridurre il più possibile l’eccesso di stress, promuove una leadership positiva che si basa sul feedback, comunicazione aperta, autonomia e possibilità di carriera. Un CHO inoltre si assicura che l’organizzazione abbia un purpose che vada oltre il profitto economico in cui le persone possono immedesimarsi.

Il Quiet Quitting è un fenomeno sempre più dirompente, che si diffonde in quelle realtà aziendali che non rispettano lo stato di coscienza e la visione del mondo delle persone. Il Chief Happiness Officer è una persona illuminata, un visionario, un professionista che ha piena consapevolezza di ciò e aiuta le organizzazioni ad avviare una trasformazione culturale che gli permetta di stare al passo e riuscire a trattenere le persone e mantenere elevato il loro livello di motivazione, andando a lavorare sul clima di lavoro, il benessere e la felicità.

 


Bibliografia

Di Ciaccio D., Gennari V. (2022) Chief Happiness Officer. Il futuro è delle organizzazioni positive. FrancoAngeli editore 2° edizione. Milano

Formica, S., & Sfodera, F. (2022). The Great Resignation and Quiet Quitting paradigm shifts: An overview of current situation and future research directions. Journal of Hospitality Marketing & Management, 31(8), 899-907

Harper, J. (2023) The Quiet Quitting Crisis: a comprehensive guide to detecting, preventing and addressing quiet quitting in the workplace. BeWiseMedia

Mahand, T., & Caldwell, C. (2023). Quiet Quitting—Causes and Opportunities. Business and Management Researches, 12(1), 9-18.

Pevec, N. (2023). The Concept of Identifying Factors of Quiet Quitting in Organizations: An Integrative Literature Review. Challenges of the Future,(2), 128-147

Robinson, A. (2022). Quiet Quitting: How to Prevent & Combat it at Work. TeamBuilding.com

State of the Global Workplace. The voice of the world’s employees, Gallup 2023

Zenger, J., & Folkman, J. (2022). Quiet Quitting Is About Bad Bosses, Not Bad Employees. Harvard Business Review, August 31. Harvard Business Publishing

 


Silvia Pici, orgogliosa esponente della generazione Z, laureata in organizzazione e marketing per la comunicazione d’impresa.
Oggi mi dedico con passione all’Employer Branding. Come Chief Happiness Officer, il mio scopo è coltivare benessere e felicità nelle aziende e combattere fenomeni come il Quiet Quitting creando ambienti di lavoro positivi!

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