ARTICOLO
25.11.2024
Empowerment, prevenzione e promozione della felicità nella Scuola – l’esperienza di Eclectica+
Di Laura Conforti e Antonella Ermacora
25.11.2024
Empowerment, prevenzione e promozione della felicità nella Scuola – l’esperienza di Eclectica+
Di Laura Conforti e Antonella Ermacora
Laura Conforti – psicologa, coach, formatrice – ed Antonella Ermacora – psicopedagogista e formatrice – fanno parte di Eclectica+, un’impresa sociale che da oltre 20 anni si occupa di promozione del benessere e di prevenzione.
Lo staff è costituito da psicologhe, psicopedagogiste, educatrici e sociologhe che portano avanti, con grande impegno e professionalità un appassionato lavoro di ricerca sociale, formazione e accompagnamento metodologico.
In Eclectica+ si occupano prevalentemente della costruzione e della progettazione di percorsi di empowerment e di formazione, promuovendo la filosofia delle Organizzazioni Positive e la Scienza della felicità in particolare nelle scuole, nei contesti educativi, nel settore sociosanitario e nel terzo settore. Grazie a una solida competenza sulle tematiche e sugli approcci Antifragile e Gavakersi, si occupano di interventi di empowerment di queste competenze in ambito scolastico e educativo.
Da anni sono referenti per lo sviluppo e della diffusione del Programma nazionale “Diario della Salute: percorsi di promozione del benessere tra pre-adolescenti”, volto a implementare le life skills attraverso un coinvolgimento attivo e partecipato dei corpi docenti.
Confrontandosi ogni giorno con studenti, insegnanti, dirigenti scolastici, genitori, istruttori ed educatori, Laura ed Antonella hanno un osservatorio molto interessante sull’argomento che stiamo esplorando e cioè: quanto il benessere e la felicità siano priorità e al centro delle strategie e dei programmi scolastici, cosa pensano i ragazzi e le ragazze della capacità della scuola di generare felicità, quali sono le esperienze di successo e gli ostacoli ancora da rimuovere.
Negli ultimi anni i dati che emergono dalle ricerche hanno fatto registrare un vertiginoso e preoccupante aumento del malessere non solo degli studenti ma di tutti coloro che sono inseriti nel sistema educativo.
Se, da un lato, la consapevolezza del bisogno di felicità sta emergendo da un disagio che si manifesta spesso anche con eventi traumatici e comportamenti estremi, dall’altro il sistema educativo, rappresentato sia da chi lo governa, che da chi lo dirige e da chi lo gestisce ogni giorno, oppone resistenza.
Di fronte a un grido sempre più forte che deriva dal malessere dei bambini e dei ragazzi, ma anche da molti insegnanti alle prese con fenomeni di stress, demotivazione e burnout, la risposta è spesso una chiusura e un arroccarsi in procedure e prassi già consolidate.
La dirigenza, in particolare, sembra ignorare il bisogno di cambiare passo, di aggiornarsi e dotarsi di conoscenze e competenze per costruire una visione nuova di Scuola.
Gli insegnanti che, invece, provano a fare scuola in modo diverso (e ne abbiamo incontrati tanti), cercando di dotarsi di strumenti per porsi con i ragazzi in modo più coerente con i loro bisogni non solo didattici ma soprattutto educativi, sono nella maggior parte dei casi coloro che da sempre provano ad accogliere i cambiamenti e i nuovi bisogni di generazioni sempre più fluide e mutevoli.
Un esempio virtuoso che possiamo citare proviene dal Veneto. Con il Piano Regionale Prevenzione 2020-2025, attraverso il Programma Scuole che promuovono Salute, la Regione Veneto ha portato nelle scuole l’“Approccio globale alla salute” promuovendo nuove prassi basate sui principi di equità, sostenibilità, inclusione, empowerment e democrazia.
Questi principi vengono declinati attraverso piani strutturati e sistematici di promozione del benessere a scuola e l’adozione di un piano d’azione per la promozione della salute nel PTOF.
La cosa interessante di questo esempio è che è una decisione politica.
Di certo funziona a macchia di leopardo: ci sono scuole che adottano il Programma e lo fanno proprio in modo coerente e proattivo, altre che ne fanno solo un’etichetta di facciata. Ma inserire il Programma Scuole che promuovono Salute nel Piano di Prevenzione consente di disporre di risorse per fare formazione agli insegnanti e agli operatori sociosanitari che si occupano di supporto alle scuole.
E grazie al fatto che alcuni dei referenti regionali del Programma si sono formati sulle tematiche della Scienza della Felicità e dell’Antifragilità, attualmente sono diversi gli interventi di formazione e accompagnamento su questi temi che stiamo portando avanti sul territorio.
Conosciamo anche altri esempi virtuosi: sappiamo di scuole che tentano esperimenti di promozione della Scienza della felicità; ma il problema è sempre che sono esperimenti che hanno un limite: quando si parte da una volontà individuale non ci può essere reale innesto perché quando l’insegnante va in pensione, quando si trasferisce o, quando il dirigente si sposta o viene investito di altri incarichi, il processo rischia di interrompersi.
Ciò che si tenta di fare in Veneto ha un punto di forza dal nostro punto di vista interessante: siccome è un Programma che arriva dall’alto, può diventare più facilmente qualcosa di sistemico. Inoltre, siccome promuove una forte alleanza tra scuola e ambito sociosanitario, si crea una cultura più trasversale, che apre e sostiene anche la possibilità di durare nel tempo. Se, come avviene, gli operatori sociosanitari si formano insieme agli insegnanti, ne possono diventare il supporto e lo stimolo anche quando gli insegnanti “illuminati” se ne vanno e ci sono cambiamenti di organico.
Certo ci vuole tempo per promuovere un cambio di prospettiva nella scuola, che è uno degli ambienti più normati e più rigidi della società, incastrato in una burocrazia che rallenta ogni possibile innovazione. Non è un caso che il Veneto sia all’avanguardia: lì si è partiti ancor prima del 2020 a costruire una reale rete tra scuole e sanità, e ancora oggi si procede a piccoli passi.
Sì, spesso nelle ricerche che abbiamo condotto i ragazzi e le ragazze ci hanno detto di non stare bene a scuola (e non solo a scuola): più del 40% manifesta insoddisfazione per la propria salute mentale; il rapporto con i genitori e con gli insegnanti evidenzia molti nodi critici; sono in forte aumento il consumo di ansiolitici e l’abuso di alcool e droghe non per uso ricreazionale ma come controllo dell’ansia e di un malessere profondo.
Ma i feedback non li abbiamo raccolti solo noi. Sono nei numeri delle statistiche nazionali ed europee. Basta leggere gli ultimi dati del rapporto HBSC.
HBSC (Health Behaviour in School-aged Children – Comportamenti collegati alla salute in ragazzi di età scolare), è uno studio multicentrico internazionale svolto in collaborazione con l’Ufficio regionale per l’Europa dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e pensato per approfondire lo stato di salute dei giovani e il loro contesto scolastico e sociale.
L’ultima rilevazione HBSC a livello nazionale è del 2022 e dà voce ai ragazzi tra gli 11 e i 17 anni. I ragazzi ci dicono che stanno male a scuola: solo il 13% dei ragazzi, con proporzioni leggermente maggiori per le ragazze e per i più piccoli, dichiara di avere un rapporto positivo con la scuola. Solo la metà degli intervistati si fida molto degli insegnanti (55%) e percepisce da parte dei professori un vero interesse nei propri confronti (49%), con una tendenza in riduzione al crescere delle età.
Insomma, dalle ricerche emerge uno scollamento tra i ragazzi e la scuola, una distanza tra i bisogni dei ragazzi e le risposte del sistema.
E cercano di farcelo capire in tutti i modi: a volte anche con azioni tragiche e comportamenti disfunzionali.
Il problema è che noi adulti non ascoltiamo e non ci attribuiamo la responsabilità di questo disagio e di questa distanza.
Diciamocelo, una volta per tutte: se i ragazzi stanno male, a scuola e non solo a scuola, è perché noi adulti siamo in crisi, non sappiamo stare nel mondo BANI che ci circonda, non stiamo evolvendo. Il problema sta nel mondo adulto, i bambini e giovani ne subiscono solo le drammatiche conseguenze.
La mancanza riguarda, a nostro avviso, quattro livelli diversi.
Rispetto al livello più macro e più esterno ci sarebbe bisogno di un’azione politica che cambi radicalmente la scuola. La politica potrebbe, ad esempio, cambiare le regole di assunzione degli insegnanti. Spingere sull’università affinché il percorso di formazione dei docenti preveda una solida formazione su tematiche educative innovative; inserire nei concorsi anche la valutazione di queste competenze. O magari introdurre sistemi di valutazione degli insegnanti in servizio (ma questo è un tabù secolare!)
Ovviamente, su questo livello abbiamo poco potere di influenza e se aspettiamo che qualcosa si muova rischiamo di perderci per strada tanti, troppi ragazzi e di assistere a una pericolosa deriva del sistema scolastico.
Il livello intermedio, quello che dal nostro punto di vista è il più urgente attivare, riguarda la dirigenza scolastica: è necessario che siano i dirigenti in primis a dotarsi di conoscenze e competenze di felicità a scuola e di organizzazione positiva. È necessario che questi diventino attori primari e promotori di un processo di cambiamento culturale del modo di fare scuola e di stare a scuola.
I dirigenti potrebbero essere il fulcro di un cambiamento sistemico, ma purtroppo noi osserviamo un’inerzia preoccupante su questo piano.
Poi ci sono gli insegnati: qualcuno ci prova, a partire. Ma sono iniziative sporadiche e spesso troppo individuali. A volte finisce che qualche insegnante riesca a coinvolgere i colleghi e allora capita che qualche classe abbia il privilegio di avere un consiglio di classe coeso e coerente nel tentare esperimenti di benessere a scuola (non diciamo felicità, ma fosse almeno benessere). Ma più spesso l’insegante illuminato si muove da solo, come un pioniere solitario e questo non può generare cambiamento. Tantomeno inclusione ed equità.
Spesso gli insegnanti che incontriamo sembrano rassegnati: non si sentono legittimati nel sollecitare e stimolare i loro dirigenti, non credono nella possibilità di cambiare le cose. E questo è di certo un grande problema.
Infine, ci sono i genitori; sarebbe interessante porsi una domanda: ma se i genitori avessero una consapevolezza maggiore dell’impatto della felicità (eudaimonica, non edonica, per carità!) sull’apprendimento, per non dire sulla vita dei loro figli, potrebbero spingere sulla scuola affinché essa cambi?
Lasciamo la domanda aperta, ma diciamo anche che sicuramente un incremento della partecipazione dei genitori a scuola, fin dalla neo- genitorialità, del loro coinvolgimento attivo (ma sempre rispettoso dei ruoli) nel fare proposte, sicuramente gioverebbe.
Come ho già detto prima: il maggiore ostacolo è attualmente la difficoltà a coinvolgere il livello dirigenziale del sistema scolastico. Finché i dirigenti saranno impermeabili alle istanze di cambiamento che provengono dalla scienza della felicità e dall’approccio Antifragile, così come da altri approcci culturali e metodologici generativi di benessere, e finché non proveranno a cambiare le loro scuole in ottica ORG+, non intravvedo tanta possibilità di un cambio di paradigma. Si vedranno tanti esperimenti spot, tanti tentativi, ma la cultura del sistema scuola rimarrà uguale: tutto sembrerà cambiare perché nulla realmente cambi davvero.
Quello che ha funzionato è fare rete. Così è accaduto in Veneto, dove nodi della rete sono la Regione (Sanità e Istruzione), le USSL e le scuole.
Così, dopo anni di formazione, nell’ultima sessione un paio di dirigenti hanno fatto capolino. Così è accaduto in Piemonte, dove nodi della rete sono stati l’ospedale Regina Margherita, la Città Metropolitana Torino, una fondazione bancaria e alcuni enti del terzo settore.
Ma funziona anche continuare a parlare di questi temi, generare un rumore mediatico, continuare a ripetere che di felicità ne hanno bisogno i bambini e i ragazzi a scuola e fuori da scuola, ne hanno bisogno gli adulti.
Il tema Scuola e Felicità ci sta molto a cuore. Perché i dati purtroppo mettono in evidenza un malessere profondo degli studenti, degli insegnanti e, come già detto in precedenze, in generale degli adulti di riferimento.
Ma è importante considerare che il lavoro va fatto soprattutto in ottica preventiva.
Oggi quando si fanno interventi nelle classi è perché già sono emersi problemi, perché si è già arrivati a manifestazioni conclamate di disagio: bisogna spostare il focus. Non ragionare più solo in ottica di gestione del problema e delle emergenze, ma fare un lavoro preventivo e sistemico in grado di rispondere ai bisogni di quella moltitudine di giovani (e/o adulti) che non hanno ancora manifestato disagio; è necessario prenderci cura di coloro che stanno sul confine o che magari stanno anche bene ma che comunque, in un mondo così tanto BANI, hanno bisogno di allenare le competenze della felicità e dell’Antifragilità per non scivolare nel disagio conclamato.
Fornire strumenti, dare spazio a questa parte più invisibile, che non fa rumore, rafforzare coloro che potrebbero anche essere dei punti di forza per i più fragili, è l’unica possibilità che abbiamo per non aumentare l’emergenza, il malessere e tentare un’ inversione di rotta.
Approfondisci: www.eclectica.it/