EDITORIALE

02.04.2025

Lavorare per vivere o vivere per lavorare? Il successo della libertà!

Di Giulia Piacentino

Immagina di svegliarti una mattina e realizzare che tutto quello per cui hai lottato finora non ti appartiene davvero. Hai costruito una carriera, una routine, un’identità professionale solida, ma dentro di te senti una vocina che ti dice: “E se non fossi davvero felice?”.

Negli ultimi anni, qualcosa è cambiato. Un tempo si lavorava per costruire una sicurezza, per guadagnare un posto nella società, per accumulare beni materiali che rappresentavano il successo

Oggi, invece, il vero successo sembra avere un altro volto: quello della libertà.

Il grande inganno della produttività infinita

La società ci ha insegnato che più facciamo, più valiamo ma non può più fare a meno di constatare che ormai il 70% dei giovani della Generazione Z cerca un lavoro che consenta flessibilità sia oraria che geografica e che promuova il benessere psicologico e fisico e oltre il 60% è disposto a rifiutare un’offerta di lavoro se l’azienda non condivide i loro valori ​(Ipsos Italia). È un cambiamento di prospettiva che mette in discussione l’idea che la produttività sia l’unica misura del valore individuale, enfatizzando invece l’importanza del benessere personale e della coerenza con i propri valori.

Inoltre, a chi non è stato insegnato che il tempo libero è un lusso e che il riposo è solo una pausa tra un’attività e l’altra?  Se ci fermiamo un attimo a riflettere, ci accorgiamo di una verità semplice e potente: il valore non sta nella quantità di cose che facciamo, ma nella qualità della vita che costruiamo. Il tempo è la risorsa più preziosa che abbiamo eppure lo sprechiamo inseguendo un modello che non ci rappresenta. Pensiamo di essere liberi, ma siamo intrappolati in aspettative che ci spingono a fare sempre di più, a essere sempre di più, senza mai chiederci se è ciò che vogliamo davvero. Questo ritmo incessante ha portato a un aumento significativo dello stress lavoro-correlato: in Europa, si stima che il 22% dei lavoratori ne sia affetto, con costi economici annuali pari a 20 miliardi di euro.

Ecco perché dovremmo domandarci “Dietro a chi e a cosa stiamo correndo?” Stiamo correndo per arrivare prima alla fine (aka la morte)? Forse è il momento di fermarsi e rispondere. 

Dalla corsa al successo alla ricerca di senso

Byung-Chul Han, nel suo saggio “La società della stanchezza”, ha descritto con lucidità il sistema neoliberista in cui siamo immersi. Una società che ci spinge a essere sempre produttivi, a non fermarci mai, a vivere con l’illusione di poter avere tutto. Ma il prezzo è alto: ansia, burnout, alienazione.

Le nuove generazioni lo hanno capito: il paradigma è cambiato. I giovani di oggi non sognano più il posto fisso, la carriera trentennale nella stessa azienda, il sacrificio in nome di uno stipendio stabile. Sognano una vita su misura, un lavoro che si adatti a loro e non il contrario.

Uno studio recente ha rivelato che il 25% dei dipendenti della Generazione Z si dichiara infelice sul posto di lavoro, il 46% dei giovani della Generazione Z e il 39% dei Millennial dichiara di sentirsi stressato o ansioso nella maggior parte del tempo, e circa il 40% di loro prevede di cambiare lavoro entro due anni per trovare un impiego più in linea con i propri valori e il proprio benessere. (Deloitte Global 2023 Gen Z and Millennial Survey)

Negli ultimi anni, si è assistito a un crescente interesse per forme di lavoro più flessibili e autonome, come il lavoro agile e il nomadismo digitale. Ad esempio, in Italia, nel 2023, si contavano circa 5,58 milioni di lavoratori in modalità agile, con un incremento significativo rispetto agli anni precedenti. Nelle grandi imprese, un lavoratore su due, pari a 1,88 milioni di persone, operava almeno parzialmente da remoto. ​

Parallelamente, il fenomeno dei nomadi digitali ha preso piede, con professionisti che scelgono di lavorare da luoghi remoti, spesso viaggiando in tutto il mondo grazie all’uso delle tecnologie digitali. Questo stile di vita, nato come risposta all’evoluzione del mercato del lavoro e alla crescente digitalizzazione, rappresenta una trasformazione significativa del lavoro e dello stile di vita nel XXI secolo, offrendo nuove opportunità e sfide per individui e società. ​

Questi dati evidenziano una chiara tendenza verso la ricerca di un equilibrio tra vita professionale e personale, con le nuove generazioni che privilegiano la flessibilità e l’autonomia nel lavoro, allontanandosi dai modelli tradizionali di carriera.

Non è pigrizia. Non è mancanza di ambizione e non si tratta nemmeno di non avere voglia di lavorare.  È consapevolezza.

Viviamo in un’epoca in cui l’accesso alle informazioni ci ha permesso di vedere alternative. Sappiamo che esistono modalità diverse di vivere e lavorare, che possiamo costruire una carriera senza sacrificare la nostra identità.

Libertà di essere: la vera felicità e il nuovo successo

Quanti di noi hanno davvero il coraggio di fermarsi e chiedersi: “Ciò che sto facendo mi rende felice? oppure “Sto accontentando le aspettative altrui o lo voglio davvero io?”

Non c’è niente di peggio di avere l’impressione di non aver avuto il coraggio di modellare la propria vita a immagine dei nostri sogni, desideri, talenti e identità. 

Per anni ci hanno detto che la felicità è la conseguenza del duro lavoro, che è un traguardo da conquistare dopo sacrifici e sforzi. Ma la verità è che la felicità è una scelta quotidiana, fatta di piccoli momenti di consapevolezza e di azioni che ci permettono di essere più autentici e presenti nella nostra vita.

Le nuove generazioni lo stanno capendo e stanno riscrivendo le regole. Non si tratta più solo di “trovare sé stessi”, ma di “creare sé stessi”, scegliendo consapevolmente chi vogliamo essere e quale vita che valga la pena di essere vissuta, allineata ai nostri valori, talenti, passioni e desideri, vogliamo vivere.

In sintesi? Essere responsabili della propria vita e della propria felicità.

Per troppo tempo ci siamo adattati alle aspettative altrui, pensando che fosse l’unico modo per vivere. Oggi sappiamo che esistono altre strade. Sappiamo che possiamo costruire una vita e un lavoro che rispettino chi siamo davvero.

La libertà non è fare ciò che si vuole, ma avere la possibilità di scegliere ciò che è giusto per noi. Ma come si conquista davvero questa libertà? La risposta è nel tornare a ciò che conta davvero: a sé stessi. Non è egocentrismo, è amore per la vita per poter trovare la propria vera strada, il senso dell’esistenza e (ri)costruire un progetto di vita realmente gratificante da vivere appieno.  

Oggi come non mai le persone hanno proprio bisogno di: 

  • Riscoprire i propri valori: Smettere di vivere secondo le aspettative altrui e iniziare a costruire una realtà che rispecchi ciò che è importante per noi.
  • Dare spazio alla lentezza: La vera rivoluzione oggi è rallentare. Creare spazi di pausa e di riflessione per riconnettersi con se stessi e prendere decisioni più autentiche.
  • Sviluppare un senso di scopo: Capire cosa ci fa sentire vivi e appagati, e costruire attorno a questo il nostro percorso personale e professionale.
  • Scegliere ciò che nutre l’anima: Che siano persone, esperienze o ambienti, dobbiamo imparare a circondarci solo di ciò che arricchisce la nostra esistenza.

L’urgenza di oggi di trovare la libertà e di essere liberi non significa vivere senza regole, ma scegliere quali regole seguire. Significa smettere di correre senza meta e iniziare a essere liberi di camminare nella direzione che sentiamo nostra perché realizzarsi consapevolmente a misura della vita che si vuole vivere è il vero successo, è la vera felicità. 

Ma diciamolo chiaramente: la libertà di essere, da sola, non basta. Serve coraggio, determinazione, audacia, perseveranza, costanza e impegno. Perché la libertà non è solo un diritto da rivendicare, ma una responsabilità da costruire ogni giorno.

Come questo cambio di bisogni può essere un valore per la società e le organizzazioni?

Per anni le aziende hanno imposto regole rigide, convinte che la produttività dipendesse dalla presenza fisica in ufficio e dal controllo costante, dal tempo passato a lavorare e dalla quantità di task da assegnare e portare a termine. Ma ora le regole del gioco sono cambiate: la vera risorsa sono persone libere, motivate e autentiche. Le imprese che accolgono il cambiamento e investono in flessibilità, benessere e autonomia attraggono e trattengono i migliori talenti. Modelli di lavoro ibridi, orari flessibili e un focus sullo sviluppo personale con percorsi di carriera personalizzati sulle passioni e competenze non sono solo richieste delle nuove generazioni, ma fattori che migliorano la produttività e la soddisfazione di tutti i lavoratori.  Tradotto? Meno assenteismo, meno burnout e più innovazione. Le persone oggi vogliono lavorare in aziende che rispecchiano i loro valori quindi il vero vantaggio competitivo oggi è creare ambienti di lavoro in cui le persone vogliono restare, non in cui devono restare. 

E la società? Un mondo in cui le persone hanno più tempo per sé, per la famiglia e per la crescita personale è un mondo più sostenibile e umano, più equilibrato e più felice. Più tempo per vivere davvero, meno per sopravvivere. Un mondo in cui il lavoro non soffoca la vita è un mondo con meno malattie da stress, più creatività e maggiore benessere collettivo. Il futuro del lavoro può migliorare anche la qualità della vita di tutti. A livello sociale, questo cambiamento riduce il rischio di burnout, migliora la salute mentale e favorisce una cultura in cui il benessere conta tanto quanto il successo economico.

Questo nuovo paradigma non è una minaccia, è un’opportunità gigantesca. Le aziende che lo abbracciano diventano magneti per i talenti e aumentano la loro competitività. Le persone che scelgono il proprio benessere ridefiniscono il concetto di successo. E la società nel suo insieme ne esce più forte. 

Questo non è il futuro: è il presente. Chi lo capisce per primo, è già avanti.