EDITORIALE
10.07.2024
Comunità & Territori, Organizzazioni positive e Fertili
Di Saverio Cuoghi , Chief Strategy Officer 2BHappy | Innovatore | Learning Designer
“Country roads, take me home
To the place I belong.. “
John Denver | “Take Me Home, Country Roads” 1971
Cona, frazione di Ferrara, piena bassa padana, 24 giugno 2024.
C’è caldo, ovviamente, e umido, ancora più ovvio in questo territorio.
È il giorno di San Giovanni Battista, patrono del Paese, e un’allegra banda di settantenni, da una stima al volo, suona, rigorosamente dal vivo, nonostante l’età, alcuni pezzi country-pop italiani e stranieri degli anni 70.
Un Lucio Battisti che non si sbaglia mai, poi i Nomadi, ca va sans dire, e poi arriva John Denver, col suo “pezzone”.
Non so quanti sagrers di Cona comprendano l’inglese, ma l’effetto è assicurato.
D’altronde qui siamo in campagna, o almeno lo eravamo alcuni decenni fa, quando io abitavo e tiravo calci ad un pallone come diceva Massimo Ranieri nel suo Vent’anni.
E gli occhi lucidi, per i più sensibili, o i sorrisi, si aprono.
Chi frequenta la Sagra, non è ovviamente chi la frequentava quando ero piccolo. Prima erano amici (o nemici) che si conoscevano tra loro dalla nascita, anche perché il 90% di loro era nato proprio lì, spesso, fino agli anni 60, addirittura in casa (spesso aiutati da mia mamma Franca, Ostetrica).
Oggi, guardandomi attorno, vedo almeno una decina di nazionalità diverse, certo, anche gente che si conosce, ma soprattutto gente che si ri-trova, magari proprio in quella occasione rituale, o gente che conosce a malapena uno o due persone, come me che non vivo più lì.
Ma si percepisce una forza, un’energia, anche un po’ di orgoglio, o semplicemente la voglia di fare parte di quella occasione collettiva.
E la forza della Comunità o, per dirla meglio, la forza della combo Comunità+Territorio o del Dove, come direbbero i miei amici super esperti Flaviano Zandonai e Paolo Venturi.
Il senso comune
Dove sta la forza della Comunità, o per quello che più ci preme come “attivisti organizzativi” come siamo qui in IIPO e a 2BHappy, dove sta ed è possibile riprodurre gli elementi che la rendono potente e abilitatrice?
“I luoghi contano”
dice Stefano Micelli, Professore di Economia e Gestione delle Imprese in Cà Foscari) e contano particolarmente in un’era di globalizzazione (o di post-globalizzazione), di digitale che rende potenziale il contatto immediato con chiunque ovunque si trovi.
E quindi avere un luogo comune, ri-conosciuto è fondamentale.
Ma come deve essere questo luogo comune?
“I luoghi sono spazi (fisici, si e solo a determinate condizioni speciali quelli solo digitali) dove relazioni sociali, economiche e tecnologiche producono significati condivisi (o li ri-conoscono)”.
Questa definizione, presa in prestito da Dove di Venturi e Zandonai, ci racconta alcune cose importanti.
Prima di tutto i significati condivisi o ri-conosciuti: passa da qui il potente connubio tra comunità e territori (spazi): le persone che intrattengono relazioni devono con-dividere sensi, scopi o come diciamo da un po’ di tempo, un purpose comune. In alcuni casi esplicito, in altri implicito, perché magari condiviso in altri tempi e ancora solido.
Quel centinaio di persone che frequenta la sagra di Cona alla fine è Comunità (anche se temporanea), perché condivide uno scopo, un desiderio: festeggiare, insieme, un luogo.
Gli esempi in questo senso sono infiniti, ma mi preme collegare questo punto con l’ambito organizzativo: se manca uno scopo comune, reale, desiderato autenticamente è impossibile si formi una comunità|organizzazione reale e quindi efficace e soddisfacente per chi ne fa parte.
E questo scopo comune, obiettivi in aziendalese, non è detto sia legato solo ai membri stabili e formalizzati della Comunità, anzi è probabile che gli impatti/obiettivi perseguiti sul territorio (all’esterno della Comunità) valgano come e forse ancora di più di quelli interni. Veruscka Gennari e Daniela di Ciaccio, ideatrici di IIPO, direbbero obiettivi ecosistemici.
Tra apertura e coesione. Fuori o dentro
Cambiamo scenario. Siamo in Val Rendena, Trentino, dove esistono Comunità intrinsecamente legate al territorio che si chiamano Regole.
Comunità, quasi millenarie, capaci di resistere a tutti e a tutto.
Sono quasi ancora tutte lì, quella dello Spinale e Manez, per citare un esempio, gestisce sostanzialmente buona parte delle remunerative attività turistiche di Madonna di Campiglio.
Sono quindi, e lo saranno ancora probabilmente per molto, tra le principali organizzazioni economico-sociali del Trentino.
Perché?
Intanto una parte deriva proprio dal loro nome, nascono con regole molto chiare, con processi, potremmo dire parlando di organizzazioni, molto definiti e da rispettare, per tutti.
Ovviamente hanno un senso comune molto forte, indissolubilmente legato alla conservazione del meraviglioso territorio (una volta mica così meraviglioso) che hanno ricevuto in dono e onorano.
E poi ci sono i confini. Che in questo caso sono confini piuttosto forti, non si entra nelle Regole, se non sposandosi con un Regoliero.
Fuori o dentro, come dice Niccolò Fabi. E come Niccolò Fabi, che annuncia questa sua poesia come una canzone del dubbio, “ho umilmente un dubbio anche io”.
Dove porre il confine, quando tenerlo sorvegliato?
Certo avere confini chiari aumenta il senso di appartenenza, la condivisione di scopo e regole, la lunga vita della Comunità |Territorio, la fiducia tra i (pochi) membri, ma senza una apertura esterna neanche le millenarie Regole oggi sarebbero ancora in piedi.
Tutte le comunità (e le Organizzazioni|Comunità) devono affrontare questo dilemma e gestirlo, intelligentemente.
Un esempio regoliero?
Se non apro i confini non ho personale per i bar o i rifugi, se non apro il bar di Ragoli (minuscolo comune che fa parte della regola) chiuderà i battenti per mancanza di gestori.
Forse potremmo metterla anche come difesa di tradizioni e innovazione, ma il dilemma non si esaurisce in questi termini.
I ponti verso l’esterno vanno costruiti, certo anche sorvegliati.
Il livello di apertura (anche dell’organizzazione|comunità) va progettato e gestito come una delle principali scelte strategiche.
La biodiversità è oltre che etica anche efficace, l’inclusione dei diversi è asset competitivo.
L’importanza delle relazioni, che vanno allenate
Abbiamo parlato sopra delle relazioni come elemento fondante di un luogo|comunità|organizzazione. Forse snobbandole un pochino, non perché non siamo importanti, ma perché le si presuppone (sottovalutando il tema) come autogenerative.
Ci sono persone, ci saranno relazioni sociali, economiche, tecnologiche. Spesso si pensa.
Non funziona così perché le relazioni sono promosse da persone, non sono una formula magica.
E, come persone, non siamo sempre competenti a sviluppare relazioni.
Siamo davvero pronti a relazionarci o come Jacobs quando si prepara per le Olimpiadi, dobbiamo allenarci (e quindi trovare anche coach capaci di farlo come si deve)?
Gli spazi sono tenuti insieme da legami sociali, se non siamo autoconsapevoli di come siamo fatti, delle nostre emozioni e quindi anche di come sono fatti gli altri e delle loro emozioni non creiamo quel vuoto, quello spazio capace di generare intenzionalmente la relazione.
Due situazioni:
La prima: Seconda Woodstock di 2BHappy, giugno 24, colline tosco emiliane.
Una bella esperienza di relazione, di allenamento alla relazione, che parte dall’ascolto, dal dare spazio, dal concepire il nostro spazio all’interno del gruppo. E alla fine dopo una sessione di cura e massaggio reciproco scrivo sulla mia maglietta commemorativa dell’evento.
“Lasciami il tuo tocco e sarai toccato”.
Mi sembra una buona regola organizzativa per i membri di una Comunità. “Densificare le relazioni” direbbe il mio amico Paolo Venturi.
Ecco, riparlando di coach necessari, lì siamo stati allenati dal bravissimo Riccardo Averaimo all’essere pronti a relazionarci. e le relazioni, in tempi peraltro anche brevi (ma in un contento di forte senso comune) sono nate.
Secondo scenario
Siamo a Salsomaggiore, Emilia, in un bellissimo paesaggio nasce, per scelta di Francesca Zecca e Alessandro Paone , Progetto ED, azienda di progettazione e posa di serramenti che diventa anch’essa, sempre per scelta, una organizzazione positiva | Comunità.
I più manageriali direbbero un vero e proprio “best place to work”, Ale e Francesca preferiscono, pur essendo di formazione solidamente manageriale, chiamarla una PGI, Piccola Grande Impresa
Abbiamo la fortuna di accompagnare lo sviluppo per diversi mesi e alleniamo tra le altre cose, tramite la Scienza della Felicità, e i suoi fondamentali 4 pilastri, le persone che collaborano con l’organizzazione a relazionarsi tra loro (e prima di tutto con loro stessi).
Risultato dell’allenamento (a tratti faticoso, a tratti fuori comfort e disagevole):
dopo 3 mesi di percorso insieme la survey ci rivela che uno degli impatti è che vogliono entrare ancora più in relazione con i “colleghi”, capire meglio chi sono.
Magia ottenuta (con il lavoro e un approccio serio) e grandi prospettive per questo team e per l’organizzazione|Comunità.
P.S Grazie ragazzi e ragazze ED, vi voglio bene
I metodi, questi eroi silenziosi e il potere magico dell’imprenditività
“Oggi sono i territori i luoghi privilegiati dove si sperimentano le innovazioni (sociali) da cui provengono gli impulsi più significativi allo sviluppo e al benessere.”
Venturi-Zandonai, Dove
Federica Vittori di “CheFare” nella conversazione che vi consiglio di ascoltare, perché fertile, soprattutto se si opera in contesti anche diversi dall’ambito culturale di cui Federica parla, dice che. perché si generi innovazione (sociale) bisogna che gli spazi (culturali) vengano abilitati da una “governance permeabile”.
Per me, che vengo da studi manageriali, questo vuol dire imprenditività diffusa, parola davvero magica perché molto concreta, che riguarda la capacità di ognuno dei membri, nel nostro caso di una Comunità|Organizzazione, di essere frattale organizzativo, una parte di quella organizzazione, ma che in sé, ha comunque tutte le dimensioni e potere dell’intero, di vedere cambiamenti di scenario, di trasformarli in opportunità e non in minacce, di comprendere il contesto (comunque sempre competitivo anche per le Comunità pure, figuriamoci per le Organizzazioni) e di prendere quindi decisioni decisioni coerenti e di verificarne il risultato, correggendo via via il tiro.
Ovvero il metodo manageriale: Analisi, Pianificazione, Attuazione, Controllo.
Sì, serve maledettamente management anche nelle Comunità, per farle vivere e sviluppare, sia perché questo approccio funziona (provate davvero e vedrete), sia perché per funzionare le Comunità|Organizzazioni hanno bisogno di linguaggi comuni.
E il metodo manageriale, lì sotto, semplice che lavora e rende ulteriormente possibile e fertile il dialogo tra le persone, è uno tra questi.
Per me il primo da mettere in campo, per poi proseguire a piacimento (agile, project management, design thinking, gestione degli inciampo, miglioramento continuo e via via, a seconda delle necessità e dei desideri.
“ Ci sono tanti metodi, dice Federica, per standardizzare i processi e per evitare di ricominciare ad accendere il fuoco ogni volta sfregano le pietre”.
Ecco, è un buon consiglio, quello di Federica, e io aggiungo, partite con il metodo|lingua comune “Metodo manageriale” e diffondetelo, come l’acqua nei campi.
Impossibile? No, facilissimo e per tutti. Abbiamo le evidenze.
In poche settimane di lavoro comune, sorretto dal metodo, imparano tutti. Anche qui serve spazio, voglia, anche voglia di faticare e sbilanciarsi un po’ in avanti. Ma poi vedrete che passo !
Ingredienti, strumenti, ricette e invitati alla cena
Mi fermo, come avrete capito mi entusiasma questa cosa qua, la ricerca di fertilità mi attiva ma le battute a disposizione sono finite.
Un po’ di ingredienti parole chiave su cui continuare a ragionare (ed applicare)
- Legame indissolubile Territorio|Comunità
- Gestione consapevole dei confini
- Allenarci ad entrare in relazione con noi stessi e con gli altri (come Jacobs o Tamberi)
- Sviluppare linguaggi e metodi comuni, usarli consapevolmente
- Diffondere l’imprenditività
A chi serve tutto ciò, chi invitiamo alla festa dove cucineremo insieme questi buoni ingredienti ?
- Certo chi è o aspira a sviluppare Comunità di Territorio, ma anche:
- Alle organizzazioni profit che vogliono innovare e rendere il loro spazio organizzativo un luogo straordinario, Organizzazioni positive come le chiamiamo noi di IIPO.
- Alle organizzazioni no profit, che hanno già molti di questi ingredienti nel loro DNA, ma che li devono riassaporare e ri-cucinare con coerenza e senso (e imprenditività e management diffuso e solido).
- Alle nostre istituzioni e amministrazioni pubbliche locali, dai quartieri, ai Comuni, fino su su.
Se non siamo fertili li, son problemi per tutti, temo.
Ah scusate, dimenticavo gli ultimi 3 ingredienti…
Ascolto. Ascolto. Ascolto.
Ingrediente senza il quale tutto dura poco!
E noi vogliamo farle durare e soprattutto farle diventare fertili le Comunità|Organizzazioni a cui apparteniamo.
Grazie John Denver !
Sintesi Finale Poetica