ARTICOLO
02.05.2017
E lavorarono tutti felici e contenti..?
Di 2BHappy
“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.” Art.1 Costituzione Italiana
1 Maggio, Festa del Lavoro. Cosa festeggiamo nel 2017?
1.752 sono le ore che ogni anno trascorriamo a lavoro, il 30% della nostra vita attiva. Per molti oggi questa percentuale è anche più elevata. Dobbiamo essere soddisfatti, dunque, perché l’obiettivo costituzionale è stato realizzato?
Non proprio. Il lavoro è diventato una fonte di stress (tanto che c’è una legge che obbliga tutti i datori di lavoro a valutarne i rischi derivanti per la salute, al pari di qualsiasi altra fonte di rischio esista nell’organizzazione).
I sondaggi di Gallup ci dicono che l’87% dei lavoratori nel mondo è demotivato e ce ne accorgiamo facilmente tutti ogni giorno, leggendo i post sui social media o ascoltando le conversazioni la sera al bar: espressioni come “Black Monday” o “Thanks God is Friday” sono diventate di uso comune, a testimonianza non solo del malcontento, enormemente diffuso verso il lavoro, ma anche della percezione che questo sia qualcosa di completamente “separato” da ciò che intendiamo per “vita”. E non a caso forse a lungo si è parlato anche di “work&life balance”, espressione utilizzata per alcune policy organizzative finalizzate al benessere dei lavoratori, ma che rafforza ancora di più la percezione che il tempo che dedichiamo al lavoro sia un tempo di non-vita. Sprecato? Spiacevole?
Non sentirsi apprezzati è il principale motivo per cui i dipendenti lasciano le aziende ma, in tempi di crisi e disoccupazione galoppante – almeno in Italia – cambiare lavoro è un desiderio di molti che resta, spesso, troppo a lungo insoddisfatto.
“Fortunato chi un lavoro ce l’ha”, potrebbero ragionevolmente pensare i 17,5 milioni di persone a rischio di povertà, cioè 1 italiano su 4, che ci stanno intorno e forse di cui neanche ci accorgiamo. E’ compito del Governo assicurare le condizioni di contesto affinché la partecipazione al mercato del lavoro sia la più ampia e agevole possibile. E non solo per una questione di ricchezza o povertà.
La maggior parte di noi va a lavorare tutti i giorni per qualcosa di più dello stipendio. Timbriamo ancora il cartellino per l’appagamento di bisogni di autostima, di realizzazione, per l’interazione sociale (quante persone hanno conosciuto sul posto di lavoro i propri partner o gli amici più cari?) e anche per dare l’esempio ai nostri figli – ma l’elenco chiaramente potrebbe continuare. Il denaro, lo stipendio, è ciò che ci fa varcare la porta dell’ufficio, ma è il sentirsi apprezzati, utili e riconosciuti come Persone, ciò che ci tiene lì.
E’ per questi motivi che è ancora più drammatico pensare alla situazione di chi un posto di lavoro oggi ce l’ha, ma vive questa condizione in maniera spiacevole e negativa. La stessa crisi economica che ha portato via il lavoro a molti, spesso ha finito col rendere particolarmente “stressante” quello di chi l’ha mantenuto, che si trova magari a portare avanti, nello stesso tempo e con risorse dimezzate, i suoi compiti più quelli del suo collega che hanno lasciato a casa.. Insomma tra pressioni sui risultati, riduzione delle risorse e continue richieste di extra performance, extra tempo, extra impegno, extra creatività, extra energie, il clima che spesso si respira in azienda è pesante e la maggior parte dei lavoratori non vede l’ora che sia venerdì!
Eppure oggi potremmo fare molto per migliorare questa situazione e la soddisfazione delle persone, restituendo valore positivo alla parola “lavoro”, coltivando la felicità.
Oggi sappiamo, grazie ai progressi delle neuroscienze, che la felicità è una competenza che possiamo allenare perché afferisce a come utilizziamo e facciamo funzionare il nostro cervello: sappiamo con certezza che in uno stato “positivo” (pensieri ed emozioni piacevoli) lavoriamo significativamente meglio che in uno stato neutrale o negativo. Il cervello in uno stato positivo apprende infatti più velocemente, è più creativo e intelligente, per effetto di una serie di sostanze che produce, come la dopamina e le endorfine.
Sappiamo anche che ci sono alcuni comportamenti sociali – come la gratitudine e la gentilezza – che ci fanno produrre sostanze e ormoni che ci fanno proprio bene: rinforzano il sistema immunitario, riducono il rischio cardiovascolare, ci rendono perfino più attraenti.
Sappiamo, inoltre, che l’unico vero predittore della felicità che le ricerche hanno dimostrato è il capitale sociale, ossia la nostra capacità di costruire e mantenere relazioni di fiducia, sane, costruttive e positive con chi ci circonda. Questo perché siamo biologicamente predisposti alla socialità e infatti non è stata la specie più forte ad evolvere, ma quella che nel processo di adattamento all’ambiente esterno ha saputo cooperare. Motivo per cui vale la pena, oltre il solito abuso delle parole che ne sviliscono il senso, parlare di Team o team building in azienda.
Abbiamo chilometri di pagine di ricerche condotte negli ultimi dieci anni a testimonianza del fatto che la felicità “paga” e migliora tutti i risultati di business: +44% retention (Gallup); +37% vendite (Seligman); +300%innovazione (HBR); +31% produttività (Shawn Achor); -125% burnout (HBR); -66% assenteismo per malattia (Forbes); -55% turnover (Gallup).
Il primo tra tutti la formula del “no pain no gain”, ovvero il concetto del prima il dovere, il sacrificio e poi il piacere, il successo. Per decenni i nostri stili manageriali ed educativi hanno seguito questa logica, per anni abbiamo lavorato seguendo una formula tra successo e felicità che la scienza ha dimostrato essere completamente sbagliata e contraria a come funziona il nostro cervello.
Sì, perché sotto sforzo, pressione costante, o in presenza di emozioni spiacevoli e pensieri catastrofici, il nostro cervello si chiude e si prepara alla reazione primordiale e fisiologica, cosiddetta di attacco o fuga, caratterizzata dalla produzione di sostanze come l’adrenalina o il cortisolo (famoso ormone dello stress), che se messe continuamente in circolo nel nostro organismo hanno un impatto negativo sulla nostra salute e di certo non favoriscono il problem solving, l’innovazione, la collaborazione. Qualcuno di voi ha mai avuto una buona idea in una giornata in cui ha corso tutto il tempo o si è sentito sotto pressione, insoddisfatto, offeso o non considerato?
Inoltre, un articolo pubblicato su The Guardian ha sintetizzato molto bene le più recenti scoperte scientifiche in tema di felicità e lavoro, evidenziando, ad esempio, come più soldi, più vacanze o un nuovo lavoro non bastano a renderci felici.
Come afferma Shawn Achor, psicologo e autore di “The Happiness Advantage”, solo per citare una buona sintesi di tutto ciò che emerso dalle ricerche, i lavoratori felici sono quelli che “sentono” che il loro lavoro ha un senso. “E ogni lavoro può essere significativo se il tuo cervello dice che lo è. Possiamo infondere senso a qualsiasi attività lavorativa se ci focalizziamo sulla costruzione di relazioni, sullo sviluppo delle capacità o sul supporto che ne riceviamo per le nostre famiglie”.
Parlare di Felicità e Lavoro o di felicità a lavoro è sicuramente provocatorio, ma oltre i percepiti e le mode organizzative oggi sono le neuroscienze a dare fondamento all’argomento e porlo alla base delle scelte più innovative e “sensate” per costruire benessere e miglioramento per tutti, sebbene questa scelta comporti un lavoro di cambiamento culturale non semplice, né immediato, ma che di certo vale la pena fare perché crediamo che il Lavoro possa e debba ritornare ad essere un tempo di vita e le organizzazioni luoghi dove le persone stanno Bene.